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Toscani a Pavia con gli “zingari”. «Cerco idee alternative»

Postato il 13.07.2017 da write@toscani.com Commenti Commenti disabilitati su Toscani a Pavia con gli “zingari”. «Cerco idee alternative»

fonte: la provincia pavese

12 luglio 2017

Il fotografo delle campagne choc sabato e domenica al lavoro in piazzale Europa. «Con lo psichiatra Paolo Crepet giro l’Italia per resuscitare la creatività perduta»

 

PAVIA. Gira le città in cerca di “beginners”, iniziatori di qualcosa. Uno stile, un pensiero, un punto di vista. Ma non insegna a fotografare. Insegna a vedere. Non è un caso che Oliviero Toscani nel suo tour “NeverendingPhotoMasterclass” – progetto nato per esplorare i temi della contemporaneità tra fotografia e il pensiero che precede lo scatto – sia affiancato da Paolo Crepet (psichiatra), Settimio Benedusi (fotografo) e Tommaso Basilio (giornalista). Sabato e domenica il tour farà tappa a Pavia, al campo nomadi di piazzale Europa, casa della comunità sinti, con un workshop intitolato “Zingari”, che arriva dopo tre puntate in altrettante città italiane, in contesti molto diversi tra loro.

«Finora sono venuti fuori dei bellissimi reportage», dice Toscani, fotografo di rottura per eccellenza, diventato famoso con le provocatorie campagne stampa di Benetton e ancor prima con la pubblicità dei jeans Jesus “Chi mi ama mi segua” che ancora oggi campeggia orgogliosamente sul suo blog personale.

Prima di Pavia che tappe ha fatto il tour?

«A febbraio siamo stati al Grand Hotel di Rimini, già fonte d’ispirazione per Federico Fellini, il tema era “Immaginare” e l’idea era quella di fotografare Rimini in inverno, immaginandola con un approccio diverso da quello a cui si è comunemente abituati. A Volterra, in aprile, siamo stati nell’ex ospedale psichiatrico con “Vento e follia” e abbiamo indagato la relazione tra la psiche umana e le condizioni fisico-ambientali proprie del luogo. E poi, a maggio a Torino, alla Casa del Pingone, “Barriere” è stata l’occasione per realizzare un ritratto attuale delle barriere fisiche, architettoniche, sociali, culturali, mentali del mondo globalizzato di oggi».

Per Pavia avete scelto il campo nomadi, da sempre oggetto di controversie tra le varie amministrazioni e i pavesi, divisi tra chi li vorrebbe cacciare e chi invece li considera parte della città. Come mai questa scelta?

«Io se mai mi domanderei perché no. A noi interessano posti e persone interessanti, che abbiamo qualcosa da raccontare, valori, usanze, umanità fuori dalla nostra normalità. E il campo nomadi ha tutte queste cose. Stiamo parlando di una comunità italiana, che è ormai completamente integrata o, almeno, se fossimo persone civili, dovrebbe esserlo. Non so prevedere come andrà, ma è quello che succede quando si prova a fare qualcosa: non si è sicuri di niente. Vedremo cosa verrà fuori. Da cosa dipende la buona riuscita del workshop? La variabile è una: l’intelligenza delle persone che partecipano. Oggi tutti sanno fare fotografie con ogni mezzo, ma molti meno sono quelli che sanno fotografare davvero. A me i virtuosismi non interessano, mi interessa molto di più la capacità di fermarsi su un’immagine, quindi fermarsi sul mondo. Questa è fotografia. E per farlo, prima bisogna guardare, ascoltare e capire. Per questo c’è anche lo psichiatra? Sì, una figura importante, che aiuta a capire perché con tutto quello che c’è al mondo scegliamo un dettaglio e lo fotografiamo».

Che ne è stato della Sterpaia (il collettivo di giovani creativi nato nel 2004 nel Parco di San Rossore, a Pisa, come Bottega dell’Arte e della Comunicazione, sotto la guida di Oliviero Toscani)?

Finito, si è esaurito. Non è che si possono fare le stesse cose per tutta la vita. Prima c’era Fabrica, poi c’è stata la Sterpaia. Ora ci sono questi workshop».

Negli anni ’90 suscitava scalpore con le sue campagne shock, adesso come lo vede il mondo “creativo”?

Purtroppo l’imprenditoria italiana non ha coraggio, abbiamo dei manager che sono completamente privi di fantasia, per questo c’è la crisi. Colpa del marketing. Tutti si riempiono la bocca

con questa cosa, che invece è la rovina di tutto. Io non ho mai lavorato con le agenzie di pubblicità, mi rifiuto. La verità e che purtroppo, anche se ce la tiriamo tanto, l’Italia è il Paese che in questo momento soffre di più in fatto di creatività».

Marta Pizzocaro