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Oliviero Toscani: «La sovversione è avere sei figli, 12 nipoti e amare una sola donna da 50 anni» (26.06.2016 / corriere.it)

Postato il 28.06.2016 da write@toscani.com Commenti Commenti disabilitati su Oliviero Toscani: «La sovversione è avere sei figli, 12 nipoti e amare una sola donna da 50 anni» (26.06.2016 / corriere.it)

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Il 74enne fotografo, celebre per le immagini choc, si racconta. Le infedeltà giovanili da «pistola del West» che stava per farsi sterilizzare, l’incontro con la norvegese che l’ha cambiato, le scorribande a New York con Andy Warhol, le bevute a Cuba con Fidel Castro, i tormenti da padre, le brutte esperienze con Renzi e con Hillary Clinton…

 

«Invece di fare yoga, io mi guardo allo specchio, nudo, per un quarto d’ora di seguito. Dovrebbero farlo tutti. Si matura un altro rispetto degli altri e di se stessi».

E che cosa vede allo specchio?

«Quello che non penso ci sia. E non vedo quello che vorrei che ci sia».

Rughe, non giovinezza?

«Ma no, cose intangibili. Come quando incroci uno sguardo per strada. La persona va, la sensazione che ti ha dato resta. È come la fotografia, uguale».

(Sopra il titolo, Oliviero Toscani in uno scatto di Aldo Liverani. Sotto, nella foto Ap, da sinistra, Luciano Benetton e Oliviero Toscani, che ha realizzato le campagne del marchio di abbigliamento dal 1982 al 2000).

Oliviero Toscani ha 74 anni. Da sempre, ogni sua foto fa discutere, che siano preservativi a mo’ di bandiere, il prete e la suora che si baciano, la madre nera che allatta il figlio bianco. Quattro ore con lui sono un’esperienza. Appuntamento alle nove, con l’avvertenza che arrivare in ritardo non sarà tollerato. Nel suo studio di Milano, sovrintende alla preparazione di un piccola folla di modelle per una campagna pubblicitaria. Intanto, si messaggia con Gennarino Lendi, che addestra i suoi cavalli, giù in Toscana. Tutto felice, telefona a un amico perché ha saputo che a S’archittu, in Sardegna, qualcuno ha «rapito» dal lungomare la statua di una madonnina: «L’avevano messa lì per ricordare uno morto in mare», spiega, «se ognuno piazzasse un monumento al dolore dove gli pare, saremmo circondati dalla bruttezza». S’infervora parlando dei migranti. Un intervento alle ginocchia gli ha impedito di imbarcarsi, mesi fa, su una nave della Marina: voleva fotografare i gommoni, le barche della speranza. Usa ancora una stampella, ma è pronto a partire. «Queste persone saranno la nostra cultura: intelligenze nuove, gente pronta a morire per un futuro migliore. E gli imbecilli della Lega non capiscono! Io voglio che i migranti vengano a lavorare nel mio studio. Invece, mi arrivano solo figli di papà che vogliono fare gli artisti».

(Sotto da sinistra, dall’archivio privato di Oliviero Toscani: il fotografo con Federico Fellini, a cui rende omaggio nel libro “Dire Fare Baciare” appena uscito; Toscani con la terza moglie Kirsty Moseng, il giorno di un loro finto matrimonio, solo fotografico, nel 1978).

Toscani mi guarda, vagamente minaccioso: «Lei sa come seleziono i giovani che vogliono lavorare con me? Guardo come si muovono, come camminano, gli do da piegare un foglio di carta». Alza la voce: «Datemi un A4». Si mobilitano in quattro o cinque. Toscani afferra il foglio, mi guarda di nuovo, ma ha pietà e se lo piega da solo. Prima un angolino, poi una diagonale. Lo riapre. Abbozza una barchetta. Lo accartoccia. Lo lancia lontano. Proclama: «Non mi interessa chi segue la precisione, ma chi cerca la sovversione». A ogni candidato chiede se ha Facebook. Se la risposta è sì, lo boccia. «Facebook serve a mettere in ordine alfabetico i cretini. I selfie a essere visti e ottenere il consenso che porta alla mediocrità». Di colpo, spegne telefoni, Ipad, computer. Dice: «Solo spegnendo tutto si può immaginare il futuro». Silenzio. Azzardo: che cosa sta immaginando? «Vedo la natura che finalmente fa fuori l’uomo». Oliviero Toscani ha appena scritto per Rizzoli Dire fare baciare, «un breviario per aspiranti rivoluzionari» (con tanto di esercizi, tipo quello di guardarsi nudo alla specchio). Un libro che è anche un’invettiva contro «i creativi».

(Sotto, da sinistra: dall’archivio privato di Oliviero Toscani, il fotografo con Andy Warhol, negli Anni ‘80; e, dall’archivio Rcs, il ritratto di Andy Warhol realizzato da Toscani).

Perché proprio lei sostiene che, oggi, la creatività è il peggior conformismo?

«Perché, oggi, tutti vogliono fare i creativi: pensano di diventare più belli e più amati. Ormai, la creatività è il contrario della provocazione. Arriva Lapo Elkann e dice “sono creativo”».

E Lapo non è creativo?

«Non lo è perché lo dice. Mi sembra di sentire Walter Chiari: “Vieni avanti, creativo”!».

Il Made in Italy non è creatività?

«Macché. Sappiamo fare solo scarpe e vestiti, roba da Terzo Mondo. Sull’Hi-tech non contiamo nulla. Noi italiani ci diciamo che siamo creativi perché siamo stati tutti cresciuti da mamme che si vantano il figlio più bello e più bravo».

Lei di figli ne ha sei, fra i 28 e i 50 anni, avuti da tre donne. Che padre è?

«Ingombrante. Difficile. Però a tutti ho insegnato non l’ambizione, ma l’onestà. E nessuno si è perso con droghe o altro e mi hanno dato 12 nipoti, quasi 13: uno è in arrivo ».

Sua figlia Olivia, in un’intervista, ha detto che lei è l’uomo meno empatico del mondo. E che non vi siete sentiti per anni.

«Abbiamo ripreso a parlarci. I dissapori sono antichi: la madre la usava come arma di ricatto: me la dava per le vacanze, ma con il passaporto scaduto. Lei ne ha sofferto. E le voglio bene più che agli altri proprio per questa fragilità».

Lei che bambino è stato?

«Finita la quinta elementare, il maestro consigliò a mia madre di farmi diventare meccanico. Le disse: si rassegni, suo figlio non è Colombo».

Chi era Colombo?

«Il primo della classe. Cicciotto, bovino, coi denti da coniglio. Sapeva tutto lui. Lo odiavo. Somigliava a Matteo Renzi, forse anche per questo non mi piace Renzi».

(Sotto,una celebre campagna pubblicitaria di Toscani del 1973).

Che le ha fatto il premier?

«Mi aveva promesso, da sindaco di Firenze, di sostenere due miei progetti, Fabrica e Sterpaia, ed è sparito. Gli ho chiesto una frase per un libro sui miei 50 anni di carriera: l’hanno data il cardinal Ravasi, Mick Jagger, Peter Gabriel, Philippe Starck e lui no».

Mi stava raccontando dell’avviamento al lavoro da meccanico.

«Il maestro disse che Colombo avrebbe fatto le ambite scuole medie del Parini. Allora, feci l’esame d’ammissione anch’io e lo passai. Poi al liceo, bigiavo: andavo al cinema, capivo più cose lì. Dopo, studiai fotografia a Zurigo. Anche un asino può fare foto, ma per farne di buone bisogna studiare, oltre che saper guardare col cuore e il cervello insieme».

Suo padre Fedele è stato il primo fotografo del Corriere della Sera.

«Era tanto amico di Indro Montanelli, la famosa foto con la Lettera 22 è sua. Mi mandava a consegnare le foto ancora bagnate in tipografia. La mattina, a scuola, il maestro apriva il Corriere con la foto di papà in prima e io pensavo che la vedeva in ritardo e lo rispettavo un po’ meno».

Oggi come sono le sue giornate?

«Lavoro sempre. La gente si stordisce di pizza, weekend, aperitivo, tango, yoga… Manie che ottundono il cervello. La cosa più tremenda che puoi fare a te stesso è stenderti su una sdraio: penserai subito a quanto è brutta tua moglie, a quanto sono cretini i tuoi figli. Al Louvre, si vede il risultato del lavoro di Leonardo da Vinci, non delle sue vacanze».

Quindi? Giornata tipo?

«Ho l’orto e lo coltivo, faccio il vino, ho un centro di addestramento di cavalli da reining, una specie di monta western. Riparo i trattori. Tutti dovrebbero far lavorare le mani. E poi mi incateno a progetti fotografici, la mia costante ricerca di libertà».

Come le vengono le idee?

«Le idee arrivano a chi non le ha. Quelli che stanno lì a cercare l’idea sono ridicoli. Oggi, sto scattando la campagna per i 50 anni del Cosmoprof, la Fiera della Cosmetica. Mi hanno chiamato e avevo già da parte foto di visi di donne di tutte il mondo. L’idea era già lì. Quindi, oggi, scatto nove visi al naturale, ma con dei segni colorati in faccia: detesto le donne truccate. Le donne dovrebbero abolire make up, rossetto, scarpe alte. Appena ne vedo una agghindata, mi vetrifico».

L’ha detto a quelli di Cosmoprof?

«Ah… no. Ho detto: “Scelgo un’estetica”. È passata liscia perché, per principio, discuto i progetti con meno persone possibili, mai con quelli del marketing».

(Sotto, un’immagine di Oliviero Toscani per Elle France).

Ha avuto tre mogli. Che cosa ha imparato dell’amore?

«Che è un grande azzardo. La prima volta ero troppo giovane, avevo 23 anni. Brigitte era incinta, ci conoscevamo poco. Poi, sono stato sei anni con una svedese, Agnete, abbiamo avuto due figli. Infine, è arrivata Kirsty, norvegese. Stiamo insieme da quasi 50 anni, abbiamo tre figli. Quando l’ho conosciuta stavo per farmi sterilizzare».

Farsi sterilizzare?

«Viaggiavo tanto, crescere i figli era duro. A New York, stavo con Donna Jordan, la mia modella dei jeans Jesus Christ Superstar».

Quella del 1973, con gli shorts giudicati blasfemi anche per il «chi mi ama mi segua».

«Voleva un bambino, come negarglielo? Insomma, prendo appuntamento per sterilizzarmi a Zurigo, ma resto bloccato ad Acapulco, per motivi di lavoro. Rimando, parto, passo da Parigi e incontro quella che sarebbe diventata mia moglie».

Kirsty Moseng. Modella.

«La vedo su Vogue, la convoco. Arriva in salopette senza un filo di trucco. Resto folgorato. Chiamo, davanti a lei, l’agente Riccardo Gay: “Ti ho chiesto una modella, non una contadina!”. Volevo starle antipatico. Però, la presi per un servizio a Venezia. Non ci siamo più lasciati. L’ho sposata due volte».

In che senso due volte?

«1978, Parigi. Lei posava con un abito da sposa Yves Saint Laurent Couture, io mi sono messo di fianco. Spedimmo la foto ad amici e parenti e tutti ci credettero. L’immagine conta più della realtà».

Lei è fedele?

«Kirsty non l’ho mai tradita. Mi attrae ancora, è incredibile dopo tanto tempo. Poi è perfetta: ha pazienza, si occupa dei miei affari pratici; se dico una cavolata, me lo fa capire senza dirmelo. E non ha niente di volgare. Non le servono griffe per essere chic, è superminimale, spende pochissimo in moda».

Lei ha fatto tante foto di moda, ma non ama la moda?

«Accumuliamo abiti per sembrare quello che la società ci dice che dobbiamo essere. Io porto la stessa camicia dagli Anni ’60. Ne compro sei all’anno e solo con i saldi».

È vero che ha imparato a fare foto di moda con Carmelo Bene?

«Arrivò ed era vestito malissimo, con scarpacce di feltro sfondate, tutto sgualcito, storto. Si poggia a un muro, mi guarda come a dire “c’è qualcosa che non va?”. Lì ho capito che se è tutto perfetto, rovini qualcosa di più interessante. Lì, con un artista del teatro, ho trovato il mio sguardo sulla moda».

Tornando alla fedeltà: non le pesa?

«Oggi no. Prima di Kristy ero una specie di pistola del West. Ho tradito anche Jordan. Io e il fotografo David Bailey andavamo nei giornali a guardare le liste di convocazione delle modelle: mettevamo le crocette su quelle che ci eravamo portati a letto. Anni divertenti. Era la New York di Andy Warhol, Lou Reed, Keith Haring».

Com’era Warhol?

«Un marziano. Vedeva cose che gli altri non vedevano. Mangiavamo da Ballato e si faceva sempre raccontare dal ristoratore la storia della sua famiglia scappata prima dal terremoto di Messina, poi da quello di San Francisco. Ogni volta, rideva come un matto».

Chi è il personaggio più straordinario che ha incontrato?

«Muhammad Ali. Ho chiamato la sesta figlia Ali in suo onore».

E sua figlia che ne pensa?

«Apprezza. È un nome allegro».

Che aveva di speciale Ali?

«Entrava nella stanza e lo sentivi a 20 metri. Aveva qualcosa di inspiegabile che è solo dei grandi. Come Pablo Picasso: l’ho fotografato, il suo sguardo era magia».

Altri personaggi eccezionali?

«Fidel Castro. Quando ci fu l’embargo, chiamai Luciano Benetton e gli chiesi: “Apriamo all’Avana?”. Lui aprì sei negozi, sbarcammo insieme a Cuba e lì, ho anche abitato da Fidel».

E che vi dicevate la sera?

«Ci facevamo un buon bicchiere di vino francese».

Il vino francese? Con l’embargo?

«Fidel se lo faceva regalare da Gérard Depardieu. Io gli parlavo dei miei lavori sull’Aids e lui, che era stato forse con tutte le donne di Cuba, non si capacitava che il sesso potesse far male. Rideva come un pazzo: “No se puede explicar a un joven que el sexo es morir…”».

(Sotto, un celebre scatto di Oliviero Toscani per il marchio Benetton).

Assieme a Luciano Benetton, lei ha cambiato il linguaggio della pubblicità.

«Io di pubblicità non capisco nulla, io comunico. A Luciano dissi: “Però lavoriamo io e te, non voglio quelli del marketing fra i piedi”. Non mi ha mai detto no».

Neanche quando lo fece posare nudo?

«Voleva la controfigura, poi lo convinsi. Con la Benetton ho smesso quando il marketing bloccò la campagna con le foto dei condannati a morte. Potevamo far abolire la pena capitale. Non ebbero coraggio».

Lei è stato il primo a fotografare Claudia Schiffer. Com’era?

«Arrivò con la mamma, aveva 17 anni. Bella: una lavatrice tedesca. Una macchina perfetta».

E la Monica Bellucci del primo giorno?

«Rotondotta. Completamente negata a fare la modella, come sarebbe stata negata a fare l’attrice».

Però?

«La portai a Parigi, a Elle, e impazzirono per lei. Era speciale perché era piena di vita. Monica è Monica, non copia nessuno. È la sua forza».

Un’altra sua scoperta?

«Sharon Stone. Tentava di fare la modella a Milano, non la voleva nessuno. La usai in un gruppo di incinte di Prénatal».

Fine anni ’70. Lei viene convocato da Silvio Berlusconi.

«Eravamo io e Umberto Eco, ricevuti in una casa di lusso, davanti a un tavolo da ping pong. Berlusconi ci spiega che vuole fare una Tv, offre a me la direzione creativa, a Eco quella editoriale. Puntualizza che le direttive le dà lui. Gli rispondemmo no seduta stante».

(Sotto, ritratti di condannati a morte di Oliviero Toscani. Era il 2000,le polemiche portarono all’interruzione della sua collaborazione con Benetton).

Conosce Donald Trump?

«Sì, è un concreto, migliore di come deve apparire per prendere voti, ma non voterei né lui né Hillary Clinton. Li ho conosciuti e mi stanno antipatici. Lei, l’ho incontrata con la giornalista Tina Brown e non avevo mai visto un posto così pieno di gente depressa».

Chi c’era?

«Lasci perdere. Erano tutti presi dal sembrare altro. Tutti all’infuori di Matt Damon, il più sano, perché è rimasto un ragazzo di campagna».

Qual è la foto di cui si è pentito di più?

«Quella sull’anoressia».

Con Isabelle Caro, che pesava 38 chili.

«Io non volevo fotografare lei, ma un simbolo. Invece, tutti si concentrarono sulla sua storia. Sbagliai a non metterle una maschera in viso».

Altri errori?

«Su tanti temi, come Aids e razzismo, potevo andare più a fondo, ma i tempi non erano maturi e c’è sola una cosa peggiore dell’arrivare in ritardo: arrivare in anticipo».

(Sotto, una foto di Aldo Liverani del 2001: il calciatore Clarence Seedorf fotografa per scherzo Oliviero Toscani).

 

26.06.2016

Source:  corriere.it

 

Categorie: intervista