Perché noi ci crediamo superiori. (Corriere della Sera).
Postato il 11.01.2015 da write@toscani.com Commenti Commenti disabilitati su Perché noi ci crediamo superiori. (Corriere della Sera).Perché noi ci crediamo superiori
Un paio di sere fa a Matrix si parlava del massacro di Charlie Hebdo. Inutile e scontato sarebbe il commento sulla ferita ancora aperta, sanguinolenta. Ma in quel cacofonico starnazzo che i più chiamano talk, uno scambio di battute suonava più buffo del resto e, tuttavia, più interessante. La diatriba nasce da una dura frase di Sallusti, così drastica da apparire banale: “ Noi siamo una civiltà superiore”. Immediata l’inorridita risposta di Oliviero Toscani: “Sei un nazista”. Si apre così un siparietto che potrebbe definirsi spassoso se non avesse sullo sfondo un eccidio feroce e l’assalto più brutale alla libertà d’espressione che la storia recente ricordi. Al dibattito partecipano anche Matteo Salvini e Maurizio Gasparri. Immagini pure, chi non ha avuto il piacere di seguire la trasmissione, quale deriva abbia preso la discussione. Ma riuscendo a prescindere dalle circostanza, facendo astrazione dalla forma e dal contesto, la frase di Alessandro Sallusti, apparentemente infelice, a un primo sguardo figlia del motus animi del giornalista davanti al carnaio, alla strage, non è poi così stolida. Perché noi ci crediamo superiori. E chiunque lo neghi, chiunque voglia prendere le distanze da una simile affermazione, sembrerà sempre, a ben vedere, in malafede. Mai è esistita civiltà che non rivendicasse una presunta superiorità sull’altro, sul barbaro; nella dialettica della storia e dei popoli, l’antitesi al “Noi” è sempre stata negativamente caratterizzata. Fu così per la Roma dell’Impero , per l’Europa colonizzatrice, per la Russia bolscevica e per gli Stati Uniti fino ad oggi. Anzi c’è chi direbbe che una comunità si impernia nell’opposizione irriducibile all’altro , che l’estinzione della categoria del diverso comporterebbe pressoché simbioticamente la rovina della collettività medesima. Evitando di scomodare Schmitt, tuttavia non può non sembrare quantomeno ironico, di un’ironia però triste, che ad aborrire la pretesa di superiorità siano dei supposti progressisti : perché per essere avanti, perché esista un progresso, qualcuno deve essere rimasto indietro, qualcosa deve trovarsi ormai dietro le spalle. Non ha colore politico questo intervento, non guarda ad una bandiera, ma ha l’unico scopo di dipanare l’ipocrisia che sembra attanagliare, inestirpabile, le menti dei benpensanti. Perché noi Occidentali, checché se ne dica, non accettiamo il diverso, ma soltanto lo tolleriamo, cercando in ogni momento di trarlo a noi, di mutarlo in una nostra goffa controfigura. Non concepiamo una civiltà diversa o per lo meno non gli attribuiamo la stessa dignità o profondità di pensiero della nostra. Abbiamo imposto al mondo un diktat, da tempo. Abbiamo da soli dichiarato i diritti dell’umanità tutta, fissato norme e principi che hanno validità transnazionale ed ecumenica. Se gli islamici pensano che la donna sia inferiore all’uomo crediamo che sia da spiegarsi in una erronea interpretazione del Corano, in una svista esegetica. Non è semplicemente concepibile, dal nostro punto di vista, che qualcuno sia in contrasto con le conquiste della civiltà (la nostra, l’unica per noi). La verità è che noi Occidentali (o è forse questa caratteristica dell’Uomo?) siamo intimamente monoteisti, ma d’un monoteismo etico. Le nostre categorie sono le migliori, le più giuste, inappellabili. Possiamo tollerare che qualcuno veneri un Dio diverso, ma lo guardiamo con divertita indulgenza, perché sappiamo che è in errore. Dall’alto della superiorità del nostro Dio etereo, compatiamo chi adora ancora il sole e la luna. Nessuno può dubitare che le frange estremiste e violente dell’Islam siano destinate a soccombere. Non è a tal fine necessaria un’apocalisse nucleare, non ce ne è bisogno. Ci vorrà tempo, ma è inevitabile. L’epilogo già è scritto, mancano poche battute, non resta che scegliere se salire sul palco a raccogliere il plauso e i fischi o lasciare che la luce dei riflettori scemi in un lento agonizzare. Tertium non datur. La vera domanda, l’annosa quaestio che rimane è: quante vittime siamo pronti a sacrificare prima di accettare ciò che siamo?
Valerio Forestieri
Source: italians.corriere.it