IMPERFECT: L’ELEFANTE NELLA STANZA
Postato il 08.05.2014 da write@toscani.com Commenti Commenti disabilitati su IMPERFECT: L’ELEFANTE NELLA STANZAElephant in the room è una tipica ed efficace espressione inglese apparsa per la prima volta nel 1959 in un articolo pubblicato sul New York Times.
Solitamente la si usa per denunciare la gravità di una situazione talmente palese che normalmente sarebbe impossibile da ignorare; ciononostante una maggioranza di osservatori (mossi più frequentemente dalla volontà di compiacere il potere politico) sceglie assurdamente di tacere fingendo di non accorgersene.
Ecco. Oliviero Toscani (Milano, 1942) non è mai stato tipo da starsene zitto di fronte a una scomoda verità. Non si può certo parlare di ingenuità, né tanto meno del frutto di un calcolo preciso: la sua piuttosto è una passione innata. Nulla può intrigarlo di più che denunciare lo scandalo di una realtà vergognosa e a lungo sottaciuta.
Essere Oliviero Toscani e assumersene tutta la responsabilità, d’altronde, è un rischio che in pochi accetterebbero di correre.
PER ESSERE CREATIVI BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI ESSERE COSTANTEMENTE INSICURI. LA CREATIVITÀ HA UN ELEMENTO DI INSTABILITÀ ED È PER QUESTO CHE FA PAURA AI BUROCRATI. OLIVIERO TOSCANI
La sua è una fotografia immancabilmente controversa, amata e detestata in egual misura dai gruppi sociali ai quali di volta in volta si rivolge. In ogni caso, Oliviero è un personaggio che non ha mai rinunciato ad essere se stesso. Un Creative Hero, come attesta il premio conferitogli nel 2007 dall’agenzia Saatchi & Saatchi.
La fotografia intesa come strumento etico per documentare la realtà contemporanea era del resto nel suo destino (suo padre è stato il primo fotoreporter del Corriere della Sera) e dopo aver concluso gli studi universitari a Zurigo nel ‘65 la stessa società che gli si sarebbe dischiusa davanti era talmente colma di contraddizioni e in odore di protesta che nulla avrebbe potuto frenare la tentazione di esplorare certe zone d’ombra, sperimentando una creatività che fosse di rottura col vecchio mondo della comunicazione.
Il suo primo reportage, neanche a dirlo, ritraeva una ragazza in minigonna: in fondo, come affermerà più tardi, persino una minigonna può diventare un’affermazione sociopolitica.
Negli anni ’80 accetta di rielaborare l’immagine e le strategie di comunicazione del marchio United Colours of Benetton: una scelta che inciderà fortemente sul taglio definitivo del suo percorso professionale tramite il quale svilupperà un nuovo concetto diadvertising.
La provocazione di soggetti sempre più trasgressivi e shockanti, oggetto di pesanti e interminabili polemiche a livello internazionale, rinuncia a un legame riconoscibile con il prodotto per assumere una valenza simbolica autonoma, diventando pretesto per una denuncia sociale di proporzioni globali che può raggiungere in modo capillare l’opinione pubblica, cortocircuitando in tal modo il controllo di poteri più alti.
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