Torna agli Articoli

“Moriremo eleganti” di Oliviero Toscani per Aliberti editore

Postato il 05.04.2012 da write@toscani.com Commenti Commenti disabilitati su “Moriremo eleganti” di Oliviero Toscani per Aliberti editore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“…Io farei così. Toglierei la pensione a chi ha scelto il proprio lavoro per darla a chi non lo ha scelto…”

“…Prendi me per esempio: nella vita ho guadagnato molto e ho sempre fatto il mestiere che volevo. Come me ci sono tantissime persone per cui il lavoro è anche il proprio hobby, la propria passione. Che ci tolgano la pensione e la diano a quei poveretti che hanno lavorato tutta la vita alla catena di montaggio!…”  dalle pagine del libro “Moriremo eleganti“, in uscita in libreria oggi giovedì 5 aprile per Aliberti Editore, Oliviero Toscani si racconta in una lunga conversazione con Luca Sommi e parla di vari argomenti: la Chiesa, l’inaffidabilità e il servilismo degli italiani, la dittatura televisiva, il comunismo ed il capitalismo, internet, Berlusconi e D’Alema, la bellezza di un quadro di Goya. Toscani si confessa e si racconta, dall’infanzia al successo planetario, descrivendo il mondo per quello che è dal suo punto di vista.

Ecco la prefazione al libro scritta da Luca Sommi.

Oliviero Toscani è a tal punto identificato con alcune sue fotografie, quelle che lo hanno reso famoso nel mondo, che si ha ormai il diritto di dire, di una foto con determinate caratteristiche: “Questa è una fotografia alla Toscani”. Esattamente come si dice di alcuni artisti, per esempio di Andy Warhol – per citarne uno che Toscani a incontrato – con le sue immagini pop o di Henri Cartier-Bresson con i suoi “istanti involontari”, anche in questo caso l’uomo è immediatamente riconducibile a una precisa grammatica narrativa.
Creativo e sovversivo, allergico alle regole, grande trampoliere della provocazione – “un’opera d’arte che non provoca reazione non è tale” – ha misurato il mondo palmo a palmo, facce e storie, paesaggi e sensazioni, con la sua Leica, indolentemente appesa all’estremità del braccio destro, non si è mai soffermato nel calcolo delle convenienze o delle cose “giuste” da fare.
Con coraggiosa spregiudicatezza, aggiunta – è il caso di dirlo – a un po’ di incoscienza, ha sovvertito tutte le regole della comunicazione globale, inventando di volta in volta un nuovo linguaggio. Un esempio: la foto di un malato di Aids sul letto di morte utilizzata per reclamizzare un determinato marchio ha, in realtà, denunciato un problema sociale con un metodo mai visto prima: portare la foto di reportage all’interno della comunicazione commerciale. E così facendo Toscani ha raggiunto due obiettivi: creare grande scandalo, dunque attenzione a quel marchio, e denunciare la scarsa attenzione che, in quegli anni, veniva data a quel tipo di malato a causa dei pregiudizi legati alle modalità di contagio.

Le fotografie di Oliviero Toscani non pretendono di portare verità svelate nel loro messaggio, ma verità che stanno solo nell’occhio – di volta in volta diverso – di chi guarda e poi giudica. Una giustezza della sensibilità che fa tutt’uno con la giustizia dello stile, dove bellezza e morale si confondono. Perché l’occhio – e questo Toscani lo sa bene – esercita, oggi come in passato, il suo potere discriminante, come in musica è l’orecchio a stabilire il confine tra un suono stonato e uno giusto.
La parola “creatività” abita sovente nelle parole del fotografo: creatività come sinonimo di idea, di invenzione, da cui tutto parte e a cui tutto ritorna, «senza avere sicurezze, perché se le hai vuol dire che non stai inventando nulla». L’invenzione che nasce da un gesto, da una trasgressione, che va cercata non solo nella sfera razionale ma anche in quella inconscia: superare i propri limiti e le proprie paure, “navigare a vista”, perdersi e ritrovarsi, perché “l’uomo senza creatività muore!”. Nella foga di raccontare questo fuoco dentro Toscani riesce a dare l’illusione di smarrire lucidità e razionalità, come se questa fosse la condizione unica per l’approdo agognato. Sembra di sentire le parole di Michel Foucault, quando parlava dell’uomo, dell’artista, che talvolta “non giunge al cuore di se stesso, ma al margine di ciò che lo limita: in quella regione in cui si aggira la morte e si spegne il pensiero”.
Il più alto ruolo dell’arte, per dirla alla Jean Clair, è sempre stato nominare gli individui e le cose, chiamarli col loro nome, “chiamarli esattamente parola a parola, così come si dice faccia a faccia”. E questo Toscani lo fa, senza reticenza alcuna, mettendolo in primo piano quel nome: malattia, nero, bianco, asino, morte, vita, fede, razzismo, violenza, pace, sesso, paura non sono qui solo parole ma immagini, che inequivocabilmente evocano il senso. Non c’è mai retorica nel suo lavoro: un malato di Aids è un malato di Aids, così come una donna nera che allatta un bambino bianco, un cimitero di croci bianche, una ragazza anoressica o un condannato a morte altro non sono che questo: una parola.
E quando un’immagine dice molto più di mille parole allora si è nell’arte.
Perché questo è Oliviero Toscani, un artista irriverente e rivoluzionario che ha fatto della sua vita, e della sua professione, una vicenda a tinte forti. In questa conversazione intensa Toscani si confessa, dall’infanzia al successo planetario, raccontando il mondo per quello che è.
Amato e odiato, temuto e riverito, Toscani non è mai stato un uomo “politicamente corretto”. Un esempio? “Un modo per far tornare la nostra società sana e democratica? Distruggere la televisione!” Come dire: chi lo ama lo segua.