Questa volta a parlare con Elle è Oliviero Toscani, forse uno dei fotografi più creativi e irriverenti di oggi.
Postato il 25.11.2013 da write@toscani.com Commenti Commenti disabilitati su Questa volta a parlare con Elle è Oliviero Toscani, forse uno dei fotografi più creativi e irriverenti di oggi.I fotografi di Elle: Oliviero Toscani
Intervista a Oliviero Toscani, il fotografo di moda italiano più irriverente
Nuovo appuntamento con la moda, la fotografia e alcuni dei fotografi che hanno firmato immagini che ormai fanno parte del nostro immaginario. Questa volta a parlare con Elle è Oliviero Toscani, forse uno dei fotografi più creativi e irriverenti di oggi.
Conosciuto internazionalmente come la forza creativa dietro i più famosi giornali e marchi del mondo, creatore di immagini corporate e campagne pubblicitarie (Esprit, Chanel, Robe di Kappa, Fiorucci, Prenatal e altri). Dal 1982 al 2000, ha creato l’identità, la strategia di comunicazione e la presenza online di United Colors of Benetton, trasformandolo in uno dei marchi più conosciuti al mondo. Nel 1990 ha ideato e diretto Colors, il primo giornale globale al mondo, e nel 1993 ha concepito e diretto Fabrica, centro di ricerca di creatività nella comunicazione moderna.
La fotografia c’è sempre stata per lui, non è una vocazione. A chi si ispira? Ai grandi fotografi dall’intensità unica come August Sander.
Come e quando ha iniziato ad occuparsi di fotografia?
Sono nato fotografo. Non ho avuto nessuna vocazione io, anzi. Sto ancora aspettando la mia vera vocazione…cosa farò da grande. Mio padre faceva il fotografo, era il primo fotoreporter del Corriere della Sera, quindi sono nato in mezzo alle macchine fotografiche, le news. Non so se è stato naturale, non mi sono posto il problema. Dopo il liceo ho frequentato la scuola a Zurigo, di 5 anni dedicata alla fotografia e alla grafica. Adesso si chiama Università delle Arti e aveva una chiara discendenza dal Bauhaus.
Se non fosse fotografo che professione avrebbe scelto?
Farei il papa. No, farei comunque un mestiere d’arte, di comunicazione. Farei l’architetto, farei il regista forse, anche se trovo il cinema un po’ superato, mentre la fotografia resta sempre modernissima. Il cinema è falso mentre la fotografia ti mette di fronte alle tue responsabilità.
Da cosa trae ispirazione per le sue fotografie? C’è un fotografo che considera “un maestro”?
Ho avuto moltissimi maestri di fotografia, di grafica, di colore. Ho studiato storia dell’arte, la grafica, i caratteri. Ci sono stati molti fotografi che mi hanno influenzato. Sicuramente io non sono un allievo di Henri Cartier-Bresson, perché non mi piace quel genere di fotografia fatta di forme e composizione. Il mio grande maestro è August Sander che faceva ritratti particolari, di una intensità unica.
Come descriverebbe il suo stile fotografico?
La fotografia secondo me deve essere un documento della condizione umana, chiaramente la fotografia di moda è un documento un po’ particolare. Nella maggior parte dei casi, fatto in modo abbastanza imbecille, ma spesso invece si possono fare fotografie di moda che hanno un contesto socio-politico importante. Mi ricordo quando ho fatto le prime foto delle minigonne…ero riuscito a descrivere la condizione della donna meglio di tanti trattati o saggi sullo stesso argomento. C’è una fotografia di moda che è un atteggiamento sociale e per me questo vale sempre, a prescindere.
Che macchina fotografica usa di più oggi?
Qualsiasi. Non ho preferenze. Lavoro in digitale. Anzi ho cominciato con il digitale quando i giornali non erano ancora organizzati per stampare il digitale. Comunque non è la macchina, uno deve saper usar tutto. E’ come chiedere che penna stilografica si usa per scrivere…non c’è quel problema, non è che se cambio la penna, cambio la poesia.
Cos’è per lei la fotografia di moda?
Tutto oggi può essere falso, ma questo appartiene alla realtà. La falsità è una realtà. La fotografia di moda è una messinscena, è una regia, esattamente come un film. Racconta la situazione umana anche la fotografia di moda. La fotografia di moda così non esiste più, adesso è fotografia di prodotti ed è completamente condizionata dal marketing. Da quando esiste il marketing tutta la qualità dell’arte si è abbassata. E’ una fotografia d’immaginazione, dove il fotografo deve immaginare una situazione, gestire una donna, due o un bambino all’interno di quella situazione che appartiene al nostro tempo e più appartiene al nostro tempo, più si potrebbe dire che è fotografia di moda.
C’è un elemento che reputa fondamentalehttps://blog.olivierotoscanistudio.com/wp-admin/post.php?post=2514&action=edit per i suoi shooting di moda? Luce, location, colore…
Tutto. Si pensa una storia come una vera e propria regia. E’ paradossale ma è molto più difficile fare queste fotografie piuttosto che fare foto di reportage di guerra. Fare il fotografo di guerra è molto più facile, si arriva sul luogo e non si deve far altro che fotografare la violenza, i morti, il sangue. E’ già tutto fatto. Basta documentare. Bisogna avere lo stomaco forte però per farlo. Fotografare una ragazza magari neanche troppo carina, su fondo bianco, con una camicia bianca è di una difficoltà estrema. La fotografia di moda è fantasia, è legata all’umore…a tantissime cose.
Ha delle regole, dei caratteri che si ripetono nelle sue fotografie?
Tutte quelle fotografie che si fermano all’estetica, alla forma, al colore, alla composizione sono tutte mediocri. Il vero fine dell’arte e quindi anche della fotografia deve essere la condizione umana, anche se si parla di fotografia di moda. La fotografia è fotografia, è un documento, anche se è uno still-life, anche se sto fotografando un bottone. Io credo che la fotografia debba essere la memoria storica dell’umanità. Tutto è memoria storica. Credo che non ci sia una fotografia di reportage, una di moda, una di pubblicità, ma che esistano fotografi che ragionano in un certo modo.
Il miglior servizio fatto finora?
Come faccio a rispondere…non lo so…probabilmente quello di Sant’Anna di Stazzema. Nel 1944 c’è stato un eccidio per mano dei tedeschi. Nel 2003 mi chiama il sindaco e mi propone un reportage sul sito dell’eccidio a sessant’anni di distanza. E’ stata una sfida, una provocazione che io ho deciso di raccogliere. Non avevo mai pensato di fare un reportage di un avvenimento sessant’anni dopo. Sono andato quindi a Sant’Anna di Stazzema e da lì è nato un libro che s’intitola “I bambini ricordano”: è una serie di ritratti di chi era bambino allora e oggi, da adulto, mi racconta cosa è successo quel giorno. E negli occhi vedi la tragedia. Ci sono particolarmente affezionato perché è diventata la testimonianza fatta sessant’anni dopo una tragedia fotografando i testimoni di quella tragedia.
Qual è l’immagine di donna che preferisce creare nelle sue fotografie?
Basta vedere le mie fotografie, soprattutto quelle fatte per Elle. Mi piacciono le donne che si vogliono bene, che si piacciono. Sono donne semplici, non sono donne con i tacchi alti anche se magari li hanno. Non sono donne che si lasciano condizionare dai lifting, non hanno paura di quello che sono. Sono donne che sorridono, che sanno sorridere. E’ una donna intelligente, non è una donna-oggetto o una donna-trofeo. Ho sempre fotografato donne così, una donna cosciente che sa cosa vuol dire lavorare, sa cos’è il piacere, che riconosce il bello e soprattutto il brutto. Una donna che vola in prima classe ma che prende anche il metrò. Una donna che conosce la qualità della vita, che sa che vale di più essere che sembrare. Elle è sempre stata così, la sua fondatrice era una donna così.